di Paola Centomo
Articolo apparso su Io Donna – inserto del Corriere della Sera – 11 settembre 2021
Se la bellezza dei paesaggi dell’arte a ciclo aperto di cui il nostro Paese straripa diventasse, qua e là per i cittadini, la molla per prendersene cura attivamente, come accade a Firenze, si metterebbe a sistema una custodia diffusa dalle ricadute benefiche straordinarie. A Firenze, 3500 cittadini fanno gli Angeli del Bello. Organizzati in squadre, secondo piani settimanali che indicano giorno, ora, luogo in cui convergere in missione, ripuliscono i muri dalle scritte vandaliche, tengono in ordine il verde pubblico, rigenerano angoli di strade che altrimenti verrebbero inghiottiti dall’incuria. Chi per spiccioli di ore, quando hanno tempo e possibilità, chi per più giorni a settimana, con metodo e determinazione.
Tra i nostri volontari, molte sono le donne, tante quelle in pensione, ma abbiamo anche giovanissime, studentesse, professioniste che si aggiungono a noi nelle ore libere. Tutte puntano a fare la loro parte per proteggere il patrimonio di Firenze, il nostro bene comune dice Alessandra Zecchi, coordinatrice di Fondazione Angeli del Bello Onlus, oggi una delle espressioni smaglianti del volontariato italiano che fa manutenzione del bello, peraltro all’interno di un protocollo di intesa con la Soprintendenza all’Archeologia e Belle arti. Io stessa sono felice di pensare a dare concretezza a progetti che fanno bene alla città, di mettere insieme le persone sulla custodia della bellezza, assecondare il loro entusiasmo, rafforzare la partecipazione attiva dei cittadini».
Chi lo fa di persona sa che custodire la bellezza sottrae degrado le città e valorizza il patrimonio artistico restituendoli più sani e più vivi al turismo, ora in ripresa, e ai cittadini, ma nutre anche l’orgoglio e lo spirito civico di chi abita i luoghi, e poi nutre le relazioni, il senso di comunità oggi cosi ferito dalla pandemia. Semplici cittadini, comitati, associazioni stanno replicando l’esperienza degli Angeli del Bello in altre città toscane, ma l’hanno esportata anche fuori regione, vedi Verona, Ascoli Piceno, Napoli. «Noi Angeli del Bello funzioniamo come un incubatore di esperienze di cittadinanza attiva, da fare crescere come se fossero start up assecondando le peculiarità dei territori dove attecchiscono. Gli Angeli del Bello potrebbero essere in molti più luoghi, tanti sono i cittadini che ci manifestino l’entusiasmo di voler ripetere il modello nelle loro città, ma noi consigliamo prudenza: farlo seriamente e portando dunque autentici benefici per le persone e i luoghi richiede forte mobilitazione, grande organizzazione, adeguati finanziamenti
Senso di responsabilità
Di quanto possa essere florido il circolo virtuoso che si attiva quando il patrimonio culturale incontra la cittadinanza attiva si occupa da tempo Irene Baldriga, storica dell’arte e docente di Musicologia alla Sapienza di Roma. Nei saggi Estetica della cittadinanza e Diritto alla bellezza indaga proprio il grande potere di trasformazione che la consapevolezza e l’esperienza dei beni culturali e naturalistici hanno sui comportamenti dei cittadini. Per noi si sofferma sulla ratifica da parte del nostro Parlamento, lo scorso anno, della Convenzione di Faro, un documento del Consiglio d’Europa che rappresenta una svolta cruciale, visto che punta ad alimentare il senso di responsabilità dei cittadini verso il patrimonio e il ruolo delle comunità nel gestirlo. «Imparare ad apprezzare il valore culturale dei musei, dei monumenti, degli edifici, dei boschi, dei giardini ci sprona a valorizzarli in maniera responsabile e a custodirli e ciò li rende risorse attive, capaci di mobilitare intraprendenza, orgoglio civico e competenze delle comunità» dice Baldriga.
Iniziative in tutta Italia
In più punti d’Italia, aggiunge, hanno preso piede le cosiddette Comunità Patrimoniali, realtà «costituite da persone che attribuiscono valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, che essi desiderano, nell’ambito di un’azione pubblica, sostenere e trasmettere alle generazioni future» come esprime la Convenzione. Rete Faro Italia sta raccogliendo queste neo comunità in espansione. A Treviso, la nascente associazione Tarvisium Gioiosa, di cui è curatrice la restauratrice Nicoletta Biondo, si propone di recuperare e mettere in sicurezza, in uno spirito di mutuo soccorso collettivo, l’urbis picta, la città dipinta sui muri.
Il progetto Izi.
Travel Sicilia, lanciato dall’archeologa Elisa Bonacini, ha finora coinvolto più di quattromila siciliani nella co-creazione dal basso di 300 audioguide, trasformando così le comunità in cantastorie per promuovere il patrimonio regionale. Nelle alture di Lavagna, tre professioniste non native ma unite da un amore fortissimo per la Liguria – l’inglese Oenone Lloyd, la piemontese Ilaria Mazzini e l’umbra Paola Giostrella – hanno avviato Pietre Parlanti, con cui ridanno vita e splendore a boschi, sentieri, antiche vie di montagna dell’entroterra.
Il caso di Procida
La pandemia sta oggi sprigionando uno spirito di partecipazione ancora più intenso e progetti di comunità capaci di scalare vette altissime: prova smagliante è la piccola isola di Procida, che ha vinto il titolo di Capitale Italiana della Cultura 2022 presentando proprio un progetto generato insieme a chi vi abita, in un intreccio virtuoso che valorizza il patrimonio artistico e naturalistico insieme a quello vivente dei suoi cittadini e delle sue relazioni. Perché è sempre più evidente che la bellezza e la cultura oggi vengono vissute anche come opportunità per rigenerare i legami, dopo il lungo isolamento, e la comunità sta diventando il punto di partenza e il punto di arrivo di una mobilitazione urbana del volontariato che il Covid ha reso più forte e motivata. L’ultima, clamorosa evidenza è la recente candidatura transnazionale del volontariato a bene immateriale dell’Umanità Unesco, che non a caso è partita dall’Italia, e dal suo incredibile numero di volontari, più di 6 milioni, di cui 4 attivi in organizzazioni strutturate.
«La pandemia ci ha rivelato che le nostre relazioni sono vulnerabili, facilmente esposte al trauma. Penso che questa diffusa, dolosa consapevolezza ci stia oggi spingendo a ricercare un nuovo senso di appartenenza, tutto da costruire, e una nuova concezione della comunità» dice Chiara Ginanni, direttrice di Consorzio Communitas, rete nazionale di enti del Terzo Settore promossi dalla Caritas. Consorzio Communitas sta spingendo, in sinergia con gli Angeli del Bello e l’associazione di promozione sociale Extrapulita, un progetto che si chiama Custodi del Bello: se realizzato su vasta scala rappresenterebbe la più vasta azione organizzata di cura del bello mai intrapresa nel nostro Paese. E, insieme, un’operazione diffusa, di formazione professionale e reinserimento sociale per chi si trova in difficoltà. Al momento il progetto è partito a Milano, Firenze e Roma. Brescia arriverà a breve, Biella e Savona si stanno organizzando. «Custodi del bello sono donne e uomini poveri, migranti, persone senza fissa dimora, disoccupate e disoccupati di lunga data, così come quante e quanti si sono trovati da un giorno all’altro senza lavoro a causa del Covid» spiega Chiara Ginanni. «Vengono organizzati in squadre di lavoro e coordinati per prendersi cura di strade, parchi pubblici, piazze, monumenti. Tutti vengono retribuiti, così da dimostrare a se stessi e alla comunità che hanno un valore e che vogliono metterlo in gioco e seguono, prima di scendere in strada, un percorso di formazione. L’obiettivo è che la cura del bene comune diventi nell’immediato l’occasione di riaccendere la speranza e, a tendere, serva loro come trampolino di lancio per farsi conoscere e farsi assumere da aziende locali alla ricerca di lavoratori: la rete che loro contribuiranno a creare sarà fondamentale per raggiungere questo scopo».
L’importanza delle sinergie
Il progetto è stato costruito in modo da essere facilmente replicabile ed è presentato su una piattaforma che rende agevole a cittadini e associazioni proporsi per realizzare il progetto nella propria città. Dalle proiezioni fatte fin qui, se il mo- dello dei Custodi del Bello fosse adottato in 100 grandi città, nei prossimi anni si avrebbero più di cinquemila squadre di operatori e un’occasione di formazione e di lavoro per 36mila persone.
Il piano richiede un co-finanziamento statale di 245 milioni nei dieci anni e donazioni private e raccolta fondi di 140 milioni, che si auspica possa essere anche superiore. «Il fatto che si espanda e si replichi senza costi ulteriori di progetto è uno degli aspetti più interessanti dell’iniziativa: piccole e isolate azioni, pur assolutamente lodevoli, poiché non riescono a produrre sinergie, finiscono spesso per portare risultati largamente inferiori a quanto ci meriterebbero» dice Ferruccio de Bortoli, ex direttore del Corriere della Sera, ora Presidente dell’Associazione Vidas di Milano e autore del libro Ci salveremo, appunti per una riscossa civica. «Iniziative come Custodi del Bello possono invece sfruttare le economie di scala e mettere a fattor comune, in una grande alleanza civica, il considerevole, diffuso capitale sociale che l’Italia possiede, che è uscito rafforzato dalla pandemia e che potrà rappresentare una leva per il Paese nel cambio di paradigma sociale ed economico legato al Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza». Per de Bortoli le attività del bene stanno compiendo un salto di qualità.
“Se un cittadino realizza un investimento finanziario, può anche mettere in conto di perdere il capitale. Ma se investe nel bene e fa una donazione a uno dei tanti progetti attivi vuole rendere il più possibile produttiva la sua volontà di fare del bene, a vantaggio del percettore finale. Progetti estesi, su larga scala, con sponsor importanti hanno maggiore trasparenza, bilanci sociali, efficienza. Oggi e sempre più, il bene va fatto bene».